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Dott. Gabriele Schimmenti

In difesa di una sputacchiera

23 giugno 2020, dopo pranzo. Ritorno al portatile, scorro la rassegna stampa e poi accedo ai social, giusto per vedere che aria tira. Mefitica. Mi trovo davanti un’immagine che recita “Sputiamo su Hegel. Figuriamoci su Montanelli”. Resto spiazzato, interdetto e mi arrabbio (eufemismo). Prima di ragionare su quanto ho letto – come vi ho detto, in un primo momento, resto spiazzato –, noto che l’immagine viene rilanciata da diversi (presunti) intellettuali, politici e militanti di sinistra, tra cui persino ex-europarlamentari di cui tendenzialmente nutro una certa stima. Mi arrabbio ancora (di nuovo l’eufemismo) e penso a quanto sia ingiusto il fatto che si possa continuare ad infierire così sul cadavere martoriato della sinistra. Provo a ragionare. Il fastidio (un altro eufemismo per esprimere la stessa reazione di prima) non riguarda solamente la totale incapacità di certa intellettualità di affrontare una seria riflessione sul campo culturale e sulle ragioni che portano tali soggetti a condividere un messaggio stupido come quello sopra. Mi infastidisco perché paragonare Hegel a Montanelli è non solo un’idiozia, ma una vera e propria porcheria ad ogni livello: storico-fattuale e ideologico-culturale.

Paragonare Montanelli, acquirente («assieme a un cavallo e a un fucile», disse lui) e consumatore della minorenne eritrea Fatima-Destà alla stessa stregua di una cosa, con l’autore della Fenomenologia dello Spirito, ovvero con un filosofo che ha giocato e gioca ancora una parte rilevante nello sviluppo del pensiero emancipatore internazionale (si pensi a Judith Butler, a Axel Honneth, oppure a Jacques Rancière), è davvero infamante e spregevole. Il richiamo al noto scritto di Carla Lonzi, poi, testimonia proprio il fatto che la teoria per una certa parte di intellettualità di sinistra (non per tutta) non è andata proprio avanti. Fermi nella risacca di alcuni dei motti degli anni ’70, come se al netto delle conquiste che pure ci sono state, oggi più di ieri, non ci rendessimo conto del fatto che quelle conquiste sono così effimere e che sempre più sembrano sfuggirci di mano. È peraltro il sintomo di una parte della sinistra che non legge più e che se legge, legge in maniera distratta, che ragiona per meme, per motti e nell’alveo dei caratteri consentiti per pubblicare qualcosa su Facebook o Instagram. Si badi bene non ho nulla contro i meme o contro i motti in sé, né contro chi scrive su Facebook o altri social, ma mi dico solo che se una parte della sinistra leggesse meglio, saprebbe che in verità la questione della relazione tra la concezione della donna, il femminismo e Hegel è al centro di dibattiti piuttosto seri sia a livello nazionale che internazionale.

Saprebbe che in verità molte delle letture postmoderne di uno Hegel “fallologocentrico” considerano solamente alcune affermazioni del filosofo di Stoccarda e ne tagliano fuori altre, non prendendosi la briga di sviscerare intere argomentazioni hegeliane (peraltro esegeticamente molto complesse). Senza considerare ad esempio che la dialettica servo-signore in Hegel, a differenza dell’analisi parziale della stessa Lonzi, può essere interpretata proprio come la relazione di emancipazione di una serva (donna) da un signore (maschio), come suggerì a suo tempo Simone de Beauvoir.

Senza considerare neppure che Hegel discute della donna Antigone all’interno di un rapporto di mancato riconoscimento e ne caratterizza la tragicità anche e proprio in quanto donna. Come se Hegel non ci desse, invece, una parte dell’armamentario concettuale per spiegare la cosalizzazione operata dalle parole e dagli atti di Montanelli nei confronti di Destà. Basterebbe guardare questo confronto a quattro voci (femminili) per rendersi conto delle prospettive che Hegel può offrire ad un discorso femminista ed intersezionale. Eppure, anche a non voler uscire dai confini nazionali, giusto pochi anni fa in Italia ha avuto luogo una serie di incontri proprio su questi argomenti con studiose e studiosi internazionali di varia formazione, comunque uniti dall’intento di intavolare una riflessione composita su un pensatore che, piaccia o meno, ha segnato indelebilmente la storia e, sì, anche quella dell’emancipazione.

Anche a voler essere critici nei confronti di Hegel, chi può negare che esso non abbia fatto parte anche di una tradizione emancipativa del pensiero? E questo a prescindere dal fatto che si valuti adeguato o meno l’indice di emancipatività di Hegel e delle filosofie che a lui si richiamano. Il che mi pare non sia invece il caso di Montanelli sotto ogni punto di vista. Non mi dilungo sull’immagine di quest’ultimo, perché credo che per lui parli quanto ha dichiarato e scritto a suo tempo.

Vorrei evitare fraintendimenti: lungi da me, ovviamente, non riconoscere l’importanza dello scritto di Carla Lonzi nel contesto in cui è stato steso, come mi sento lontano anni luce dal non riconoscere le zone d’ombra che compaiono in taluni passaggi hegeliani. Questo però non significa non fare i dovuti distinguo e soprattutto non rendersi conto della differenza tra i due.
C’è un problema profondo che investe la nuova ondata di iconoclastia e la parte più miseranda del dibattito culturale che si è costruito attorno ad essa: una buona fetta della sinistra è incapace di tenere assieme la contraddittorietà della storia e dei suoi personaggi e la sovrastoricità dei valori di emancipazione che gli stessi personaggi talvolta incorporano o avanzano nelle loro riflessioni (nel caso dei filosofi). In altri termini: certamente ce la possiamo prendere con e sputare su Hegel (e se vogliamo pure su Kant o su Marx) per quello che hanno scritto in una o più lettere o opere, obliando completamente non solo il loro contributo ai valori dell’autonomia, alla questione dei diritti umani o al dibattito sulle disuguaglianze sociali; obliando anche che i nostri valori, a partire dai quali valutiamo la storia e quegli stessi personaggi, probabilmente neppure vi sarebbero senza di loro. Insomma, nessuno ci vieta di non sputare su Hegel, convinti di aver fatto un grande gesto rivoluzionario, e poi di guardarci allo specchio per renderci conto che ci siamo sputati addosso.

 

gabriele.schimmenti@gmail.com